DUPLICE UNITA' |
di Alberto Crespi |
Compito primario della scultura di figura - e di frequente anche del ritratto, lo si verifichi nella storia - è quello del monito. L'icona si configura cioè come tramite nel rapporto tra l'uomo e la sua proiezione in un'ipotesi di perfezione (in positivo o in negativo). La gran parte delle statue, nella selva che ha popolato la storia della scultura occidentale, è compresa nei luoghi del sacro e scandisce un'iconologia che se da una parte appare relativamente immodificata nel tempo, d'altro canto è percorsa da continui brividi nei significati sottesi. Si pensi al tema della Pietà, per fare soltanto un esempio, nel suo trascorrere dall'alto Medioevo al Rinascimento al Barocco al Neoclassicismo e oltre. Un lavoro è stato fatto, con evidenza - e ogni epoca ne ha trasmesso le risultanze alla successiva - sui linguaggio, e oggi ancora prosegue. E ogni epoca ha saputo far amare l'icona che il suo livello di cultura ha prodotto poichè l'ha resa capace di dialogare sia all'interno del proprio tempo sia diagonalmente con la stagione seguente - e in prospettiva con un tempo assai più vasto, grazie proprio alle costanti ineludibili del linguaggio presenti nella sua evoluzione. Così, la statua - o l'icona - di San Bartolomeo che è oggetto di questo intervento consente un agevole approccio di lettura proprio perchè si situa in un'area di contaminazione tra linguaggi- quello della pittura e quello della scultura - che sembra tipica dell'oggi (ma invero risale agli albori della scultura dipinta, tremilacinquecento anni fa). Inoltre, nella fattispecie, sono da considerare la semantica del positivo-negativo qui espressa nella sequenza, l'innalzamento della lastra contro la consueta accezione tombale e lo spostamento angolare delle due valve, che accelera l'atto del confronto innestando immediatamente i procedimenti della specularità con quanto consegue sul piano del coinvolgimento meditativo, delle valenze di monito cui si accennava. L'opera si pone come documento di una vicenda esistenziale remota - ma trasferita attraverso i tempi fino alle nostre soglie, conosciuta nei contorni e rispettata quindi come se appartenesse a un passato comune di cui si deve portare testimonianza: una vicenda che attraverso gli accorgimenti compositivi citati riverbera nel presente. Estrapola dunque dall'aura di santità la storia antica e sanguinosa di Bartolomeo per condurla ad incontrarci, a colloquiare col passato col presente, a specchiare quell'uomo che quotidianamente le si muove intorno con il proprio portato di cronaca di passione, e suggerisce la necessità di un dialogo, ne accosta i dubbi, ne ama gli interrogativi. Tutto questo è consentito dai diedri emergenti e compreso nei piani profondi, impresso nella radiografia degli arti, nella sinopia delle costole, nell'incavo arso dei visceri come nella verità delle labbra e nel seguire di uno sguardo che sembra coronato di spine come di fiamme. Le doti di maturità dello scultore gli hanno consentito di sollevare il suo lavoro da ogni formalismo ed altresì dal pittoricismo delle superfici (che, al contrario, divengono culla per costellazioni di simboli carismatici come quello dell'eternità) per condurci, con un procedere di certa sintesi, nel cuore del problema. Che è quello di dare ad ognuno la "misura" del proprio essere uomo- e santo- nel percorso del quotidiano. Poichè una santità - ossia un rispetto assoluto per se stesso e per il prossimo come dimora di dio - sembra che in terra sia possibile conseguire. Mille e mille storie di santi ce ne danno conferma, dalle figure che datano dai più remoti dei tempi a quelle di oggi, che abbiamo potuto vedere e magari incontrare, in carne ed ossa, in quella carne e quelle ossa sulle quali quotidianamente si esercitano le spine della passione. |